Viaggio in Somalia 2008, il racconto

VIAGGIATORI: RENATA e NASIR

ACCOMPAGNATORI: UNA GRANDE SPERANZA E UNA GRANDE INCOSCIENZA!

Il 6 agosto 2008 siamo partiti dall'aeroporto di Tessera ed ha avuto così inizio questa grande avventura: andavamo in Somalia per vedere di persona quello che avevamo fatto con l'aiuto di tanti cari amici.

Dopo un lunghissimo volo più o meno accidentato, siamo finalmente arrivati ad Addis Abeba: eravamo in Africa, mi sembrava di essere già arrivata!

Il giorno seguente abbiamo noleggiato una Land Rover con autista ed abbiamo proseguito il viaggio. Con noi c'erano anche il cugino di Nasir ed un suo amico che erano venuti a prenderci in aeroporto.

All'inizio tutto bene: la strada asfaltata ci ha portato fino ad un bel laghetto sulle cui rive abbiamo pranzato in compagnia di tantissime scimmiette che venivano a rubarci il cibo dai piatti.

Siamo poi ripartiti e ...... addio asfalto: il letto di un torrente sarebbe stato mille volte meglio!

Sulle montagne ci ha sorpreso un violento acquazzone ed abbiamo scoperto che i tergicristalli della macchina non funzionavano. Per un colpo di fortuna, in quella zona completamente deserta, siamo stati sorpassati da un fuoristrada e siamo riusciti quindi a proseguire seguendo i suoi fanali posteriori.

Finalmente ha smesso di piovere e poco dopo si è rotta la marmitta. Abbiamo continuato ugualmente (anche perchè in quella zona non esisteva certo un meccanico e non si vedeva anima viva).

Risultato: ci siamo riempiti di polvere e Nasir è diventato “bianco” e avvilito.

In effetti si è avvilito ancora di più quando è andata a terra anche una gomma.

Per una gomma, basta cambiarla e si riparte! Devo dire che nella mia incoscienza, che per fortuna mi ha accompagnato durante tutto il viaggio, tutto quello che ci è capitato mi ha divertito!

A tarda sera siamo arrivati in un villaggio abbastanza importante ed abbiamo trovato da dormire in un posto che loro chiamano albergo. Non è il caso di fare tanto gli schizzinosi, visto che eravamo stanchi morti dopo circa 16 ore di viaggio su una ... trebbiatrice (così almeno mi immagino si viaggi su queste macchine agricole).

Il giorno seguente siamo arrivati a Negele: una cittadina bella e importante, ci avevano detto.

E' sicuramente molto pittoresca e c'è un grande mercato frequentatissimo.

E' in questa cittadina che ho sentito dei giovani dire: finalmente vediamo un bianco in carne e ossa!

In effetti, da quando sono partita, non ho visto nessun bianco. Sono solo io così pallida, con gli occhi chiari, coi capelli biondi. Mi sono sentita un po' a disagio, ma mi è passato subito.

Abbiamo dormito in un altro .... albergo. La mattina, dopo aver fatto aggiustare la gomma, siamo ripartiti.

Non era passato molto tempo che abbiamo bucato di nuovo. Altro cambio di ruota.

La strada diventava sempre peggio, se così si può dire, visto quanto era già “peggio” prima!

E indovinate cosa è successo? Abbiamo bucato per la terza volta. In compenso questa volta non avevamo più ruote di scorta.

Ci trovavamo a più di 100 kilometri dall'ultimo villaggio e a circa 40 kilometri dal prossimo, in pieno deserto. L'unica fortuna: davanti a noi c'era un fuoristrada con almeno una quindicina di persone, fermo perché aveva un semiasse rotto.

Non eravamo soli. Però tutti guardavano nella nostra macchina, mi osservavano, ridevano e sinceramente avevo un po' di paura.

Poi mi sono fatta coraggio e sono scesa anch'io dalla macchina. Continuavano ad osservarmi con curiosità e allora ho sorriso e mi hanno sorriso anche loro.

Intanto erano passate le ore e si era fatto buio. In lontananza, neanche troppo, si sentivano ululare le iene.

Potevamo solo aspettare.

Finalmente in fondo alla strada interminabile abbiamo visto dei fari, e dopo un tempo lunghissimo è arrivato un camion scassato che si è fermato e così siamo riusciti a gonfiare la nostra gomma.

Siamo ripartiti “a razzo” nella speranza di poter fare quei 40 kilometri che ci separavano dal villaggio.

Siamo riusciti ad arrivare: abbiamo inviato degli aiuti ai nostri amici di sventura rimasti in mezzo alla strada e noi ci siamo imbarcati su un vecchissimo pulmino volkswagen da 7 posti sul quale hanno trovato posto una ventina di persona, di cui alcune sul tetto.

L'ultima tratto tra l'Etiopia e la Somalia l'abbiamo così percorsa su un pulmino di clandestini che non so come sia riuscito, viaggiando tra la sabbia, gli arbusti, gli avvallamenti, le pietre, a scaricarci, tra la boscaglia, sulle rive di un fiume.

Qui un “Caronte”, su una specie di vasca da bagno, ci ha condotto, aiutandosi con delle corde, sulla riva opposta del fiume.

Scesa dalla “bagnarola” mi sono sentita agguantare per le braccia e trascinare su per la scarpata fino ad un fuoristrada nero, dove mi hanno infilata e chiusa dentro.

Mi sono trovata lì da sola, con i finestrini oscurati, non vedevo niente e non sapevo neanche dove erano finiti Nasir e suo cugino.

In quel momento ho visto due fari che venivano verso di me: mi sono abbassata per non farmi vedere. Eravamo in una zona di frontiera e non avevamo i permessi per entrare in Somalia.

Poi, quando ho scoperto che si trattava della macchina con la guardia armata inviata dal governo Etiope per farci da scorta, mi sono messa a ridere e neanche lontanamente mi è venuto in mente che forse il viaggio sarebbe potuto essere un po' pericoloso se ci avevano mandato come scorta 5 militari armati fino ai denti, oltre ai tre che sono saliti in macchina con noi!

Era già passata da un pezzo la mezzanotte quando siamo arrivati a “casa” dei parenti di Nasir. Erano ancora tutti alzati che ci aspettavano e ci hanno dato del latte caldo e mi hanno fatto sdraiare su una stuoia all'aperto per farmi riposare.

Guardavo il cielo stellato: ero stanca ma non potevo certo dormire. Io, in Africa, così lontana da casa, tra quelle capanne, tra quella gente che sentivo sempre più vicina, che mi accoglieva come facessi parte della loro famiglia, che mi offriva tutto quello che aveva. Che pace sotto quelle stelle!

Più tardi, dopo che le autorità del posto sono venute a visitarci e a controllare i nostri passaporti, ci hanno preparato da dormire nella capanna degli ospiti, dato che le autorità non ci avevano permesso di ripartire subito in quanto il viaggio durante la notte sarebbe stato troppo pericoloso.

Siamo ripartiti la mattina prestissimo: avevamo ancora 90 kilometri per arrivare al Villaggio di Qooneey, il nostro villaggio.

La strada era tutta sabbia: mi domandavo come facesse il nostro autista ad orientarsi. In effetti questi 90 kilometri erano piuttosto lunghi: siamo arrivati solo alle 3 e mezza del pomeriggio.

Davanti al villaggio due file di bambini ci aspettavano già da un bel pezzo sotto il sole.

Quando siamo scesi dalla macchina hanno incominciato a cantare una dolcissima canzone di benvenuto: ero così commossa che non sono neanche riuscita a filmarli.

Ho fatto veramente fatica a non piangere dalla commozione.

Ho stretto tutte quelle manine dicendo “salam” a tutti, e tutti mi sorridevano.

Mi sono sentita a casa mia.

Al villaggio ci avevano preparato una capanna tutta rivestita e con dei letti quasi veri. Avevano procurato un vecchissimo generatore per la lampadina che avevano messo al centro della capanna, ci avevano preparato due secchi d'acqua per lavarci ed avevano costruito un gabinetto solo per noi.

Ci avevano sistemato nel “recinto” del sindaco del villaggio: la capanna rettangolare per noi, quella rotonda è la dimora del sindaco.

Poi sono arrivati i regali: dei bellissimi vestiti e degli oggetti particolari.

Ci hanno preparato da mangiare e ci hanno offerto dell'ottimo tè.

Siamo poi stati invitati al “consiglio” dove ci hanno ufficialmente ringraziato per il pozzo, per la scuola e per l'ospedale, chiedendo, una volta tornati in Italia, di portare i loro ringraziamenti a tutti coloro che li avevano aiutati e non nascondendo la speranza che avremmo ancora continuato ad aiutarli per poter pagare i maestri della scuola (dove sono attualmente circa 90 bambini che studiano) e poter completare l'ospedale e almeno un altro pozzo.

Abbiamo anche valutato la possibilità di creare una diga su quel letto di fiume dove l'acqua che si raccoglie durante le piogge sparisce subito. Se fosse possibile fermare l'acqua potrebbero coltivare i campi come era prima che iniziasse la desertificazione del territorio.

Era così bello stare tra questa gente così piena di dignità, così piena di bontà, così cara, che mi dimenticavo di essere di un colore diverso e mi sentivo veramente e completamente una di loro.

Purtroppo, a causa di integralisti che sembrano aggirarsi nei dintorni, è arrivato l'ordine del governo Etiope di rientrare immediatamente.

Abbiamo cercato di opporci, ma la risposta è stata: “o tornate immediatamente o inviamo un elicottero a prelevarvi, con tutte le conseguenze”.

Non potevamo fare niente. Ho abbracciato forte la zia di Nasir e questa volta non sono riuscita a trattenere le lacrime. Mi sono vergognata un po' e sono salita in macchina di corsa.

Nel viaggio di ritorno ci siamo impantanati più volte, abbiamo perso la strada, abbiamo perso la scorta armata, ma alla fine siamo riusciti ad arrivare, di nuovo in piena notte, a casa dei parenti.

La mattina seguente abbiamo avuto la visita dei notabili dell'etnia di Nasir che occupa e comanda una buona parte della Somalia del sud: gente buona che vive in pace.

Abbiamo riattraversato il fiume su una barca quasi normale e, dopo 20 ore di autobus, senza mangiare, senza bere, (senza bagno) e con l'incubo della polizia locale, siamo arrivati nuovamente a Negele dove ci siamo fermati qualche giorno prima di ritornare sempre in fuoristrada, sempre per la stessa strada di sassi appuntiti, ad Addis Abeba, e da qui, non senza aver avuto altri problemi con la polizia, siamo finalmente riusciti a salire sull'aereo che, tra temporali e vuoti d'aria, ci ha riportato ad Istanbul e finalmente in Italia.